Malattia: accidente o messaggio dell’anima?

Che cos’è la malattia? La medicina psicosomatica da sempre ha cercato le cause della malattia nella psiche. Ma forse non è abbastanza compreso il valore della malattia.

La medicina tradizionale appare superficiale

Mi trovavo in uno studio medico per una visita quando l’assistente del dottore cominciò a lamentare un fortissimo dolore alla schiena che le impediva di piegarsi. “Oddio, ma perché mi è venuto ora questo dolore?” continuava a ripetere l’assistente. “Non preoccuparti, ora ti faccio una puntura di Voltaren e starai meglio”, fu la risposta del medico.

Questo fatto apparentemente banale mi ha fatto pensare a come la medicina moderna sia diventata complessa ma al tempo stesso superficiale. L’assistente voleva cercare le cause del suo dolore ma il medico l’aveva tranquillizzata dicendole che non era affatto necessario cercare le cause: bastava una puntura e via.

Ma se volessimo andare alla ricerca delle cause della malattia?

La medicina olistica

Sono sempre di più le persone che esprimono la loro sfiducia nei confronti della medicina moderna, nonostante i meravigliosi risultati ottenuti. Le critiche puntano soprattutto sugli effetti collaterali incontrollati, carenza di umanità, non ultimo i costi alle stelle. Anche le cosiddette cure alternative, come la naturopatia, puntano sul sintomo, sul particolare, e cercano di farlo sparire.

Ma soprattutto non si considera l’uomo da un punto di vista unitario, come organismo bio-psico-spirituale.

Per la medicina moderna l’uomo è un insieme di tante parti da riparare via via che si guastano. Se fa uno sforzo di ricercare le cause le trova in comportamenti sbagliati come l’alimentazione, la sedentarietà, il fumo e l’ambiente. La medicina tradizionale, tranne per alcune malattie psicosomatiche riconosciute, quasi mai considera la psiche dell’uomo quale causa. La malattia inoltre è sempre vista come un disturbo da eliminare.

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Freud e la conversione

L’idea di “conversione” era alla base della prima psicosomatica. Fu esposta da Freud nel saggio del 1894, “Neuropsicosi da difesa”, e negli “Studi sull’isteria”, opera scritta con Joseph Breur nel 1895. Dai loro studi emerse che la disposizione alla conversione è un tratto caratteristico dei pazienti isterici. Attraverso i sintomi tali soggetti «rendono inoffensive rappresentazioni ed idee insopportabili, incompatibili, trasformando la loro somma di eccitazione in qualcosa di somatico». Certi contenuti psichici, come immagini o pulsioni o desideri, sono incompatibili con l’Io, inammissibile alla coscienza e alla morale. Ne sono esempi certe fantasie sessuali, oppure l’impulso ad uccidere o a spezzare particolari legami affettivi. L’emozione ad essi associata è rimossa dalla coscienza con la repressione e convertito in un disturbo senso-motorio che simboleggia ed esprime a livello corporeo il contenuto inaccettabile, così risolvendo parzialmente il conflitto psicologico originario.

Georg Groddeck

Georg GroddeckGeorg Groddeck, che si definiva psicoanalista selvaggio, aveva esteso il dominio delle affezioni psicosomatiche ben oltre il modello della conversione freudiana. La malattia organica, secondo Groddeck (1917), in modo analogo al sogno, rappresentava l’espressione somatica simbolica di processi psichici. Egli riteneva così che tutte le malattie costituissero i segni corporei attraverso cui l’inconscio comunica all’esterno l’esistenza di un blocco psicologico: l’espressione fisica di un conflitto emotivo irrisolto e non razionalizzato.

Helene Deutsch

Analogamente in Helene Deutsch (1924 e 1953), la «continua corrente di conversione nel somatico», in azione anche nei soggetti sani, era vista come una sorta di linguaggio corporeo che serviva a scaricare, in maniera simbolica, l’inconscio sovraccarico da frammenti di emozioni e altri complessi psichici.

Trasposizione di un conflitto psichico sul versante somatico

Ma come avviene la scelta dell’organo che sarà colpito dal disturbo psicosomatico? Se ogni fenomeno di conversione è frutto di una storia individuale, unica ed irriducibile, allora in che modo si possono fare ipotesi sulla trasposizione di un conflitto psichico sul versante somatico? A queste domande cercarono di dare una risposta due grandi figure della scuola psichiatrica americana: Helen Flanders Dunbar e Franz Gabriel Alexander.

Helen Flanders Dunbar

Helen DunbarLa Dunbar (1943), lavorando su una vasta mole di interviste anamnestiche ed attraverso l’uso della diagnostica psicodinamica, affermò di aver individuato delle significative correlazioni tra malattie e profili di personalità. Tutti i pazienti affetti da ipertensione, per esempio, hanno caratteristiche personologiche simili.  Il soggetto sofferente alle coronarie era una persona che lavorava e lottava con fermezza, che aveva grande autocontrollo e tendeva al successo e al pieno raggiungimento degli scopi prefissi. Mentre il malato di ulcera peptica era un tipo iperattivo ed eccessivamente intraprendente. Secondo la Dunbar, dunque, esisteva una sorta di cliché caratteriale per ogni malattia psicosomatica.

Critiche alle teorie di Helen Dunbar

Le teorie della Dunbar vennero criticate da più parti. Sul versante psicoanalitico esse erano accusate di superficialità, di valutare soltanto gli aspetti del comportamento osservabili a livello esteriore, ovvero di non cercare ed analizzare il materiale inconscio da cui, secondo la prospettiva psicodinamica, traggono origine le azioni umane. Per gli esponenti dell’approccio psicofisiologico invece, la Dunbar non aveva offerto una spiegazione della correlazione tra malattie psicosomatiche e tratti di personalità e non aveva dato nessuna indicazione su come questi ultimi possono dare inizio al disturbo e mantenerlo.

Friedman e Rosenman

Le idee della Dunbar tuttavia hanno avuto larga diffusione nella letteratura psicosomatica successiva. Esse sono rintracciabili nelle teorizzazioni di Friedman e Rosenman (1959, 1960) sulle associazioni tra disturbi e tipi di personalità, che si sono imposte con forza nel dibattito medico sino alla fine degli anni ’80. Allo stesso modo l’influenza della Dunbar è evidente nell’opera di Claus Bahnson (1969, 1980, 1981) sulle correlazioni tra personalità e cancro.

Franz Gabriel Alexander

Franz AlexanderAlexander partiva dal presupposto dell’esistenza di due categorie principali di emozione. Preparazione alla lotta o alla fuga in condizioni di emergenza, e piacere ed acquiescenza. Queste due categorie corrispondevano alle due configurazioni fondamentali di attività vegetativa: l’attivazione del sistema nervoso simpatico in condizioni di allarme e l’azione del sistema nervoso parasimpatico verso la riparazione. Il simpatico è preposto alla mobilitazione delle risorse corporee dell’organismo in vista di condizioni di emergenza; il parasimpatico presiede al controllo delle funzioni vegetative dell’organismo, come la digestione, l’escrezione, come i meccanismi alla base dei comportamenti sessuali.

Le nevrosi vegetative

Alexander definiva i disturbi psicosomatici nevrosi vegetative. Essi rappresenterebbero l’effetto della persistenza e della cronicizzazione dell’attivazione fisiologica tipica di una delle due categorie emotive, dovuta ad uno specifico conflitto psichico che impedisce lo scarico delle emozioni in una azione esterna. Così le patologie correlate alle emozioni legate alla lotta o alla fuga “sarebbero il risultato di inibizioni o di repressioni di impulsi ostili e di autoaffermazione”.

Ne sono esempi alcune sindromi cardiache che rappresenterebbero gli effetti dell’ansietà neurotica o della repressione della collera. L’ipertensione essenziale sarebbe il risultato di un incremento della pressione sanguigna mantenuto dall’attivazione del simpatico tipica delle emozioni di rabbia. Allo stesso modo l’attivazione e il blocco dei sistemi neuro-endocrini legati alla lotta e alla fuga porta all’emicrania, all’ipertiroidismo e all’artrite reumatoide.

Le affezioni psicosomatiche dipendenti dal blocco delle emozioni connesse alle attività “riparative” del parasimpatico erano tutti i disturbi funzionali gastroenterici, l’asma e l’affaticamente cronico.

Harold Wolff

Nello stesso periodo della teorizzazioni della Dunbar e di Alexander, lo psichiatra americano Harold Wolff ipotizzava che le malattie psicosomatiche fossero l’effetto di un fallito adattamento ad eventi stressanti o fattori patogeni (Wolff, 1950). L’idea prendeva origine dall’osservazione che gli individui tendono ad avere modi peculiari di far fronte agli stimoli e agli stress dell’ambiente e che queste reazioni caratteristiche tendono a somigliarsi tra i membri di una stessa famiglia. Secondo Wolff esisteva così una risposta protettiva adattativa specifica dell’individuo e ereditariamente determinata. Wolff rigettava il modello forte della psicosomatica di stampo analitico. Rigettava l’idea di una causalità lineare dalle emozioni alle malattie e immaginava invece le modificazioni psicologiche, fisiologiche e comportamentali come elementi concomitanti della reazione individuale allo stress.

Thorwald Dethlefsen e Rudiger Dahlke

Thorwald DethlefsenI due medici di cui voglio parlare cambiano completamente il punto di vista della medicina tradizionale considerando la malattia necessaria per la guarigione psichica e spirituale di un essere umano.

“Malattia e destino”
Malattia è una parola che si dovrebbe in realtà usare soltanto al singolare. Il plurale malattie è privo di significato come il plurale di salute.

Malattia e salute sono concetti al singolare in quanto si riferiscono a uno stato dell’uomo e non a organi o parti del corpo. Il corpo non è mai malato o sano, perché in lui si esprimono semplicemente le informazioni della coscienza.

Il corpo di un uomo vivo deve la sua funzionalità proprio a quelle due istanze immateriali che noi in genere chiamiamo coscienza (o anima) e vita (o spirito). La coscienza rappresenta l’informazione che si manifesta nel corpo e viene resa in questo modo visibile. Se la psiche o la coscienza sono malate cioè mancano di qualcosa, sono indotte a richiamare l’attenzione producendo quelle che noi definiamo malattie.

Valore della malattia

Le malattie sono quindi un’informazione della coscienza che vuol far notare una sua necessità, un suo bisogno, e lo rivela sul corpo, che diviene così il suo modo e il suo livello di espressione.

La malattia non è un puro accidente o solo dovuta a errori nello stile di vita, ma esprime gli aspetti repressi, temuti e accantonati della propria vita, in definitiva l’Ombra.

Non bisogna quindi limitarsi a combatterla: occorre prima di tutto capirla.

Per guarire bisogna quindi trasformare la coscienza, integrare ciò che manca, capire le carenze e colmarle. La guarigione vera è fisica ma soprattutto psichica e spirituale.

La malattia allora è un mezzo per capire più profondamente se stessi e favorire il proprio cammino evolutivo. La malattia quindi viene considerata dal suo aspetto metafisico, un mezzo per portare alla guarigione dell’anima.

source:

“Thorwald Dethlefsen e Rudiger Dahlke “Malattia e destino”

Stefano Canali

Foto da pinterest

 

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